Smilevski Goce - 2010 - La sorella di Freud by Smilevski Goce

Smilevski Goce - 2010 - La sorella di Freud by Smilevski Goce

autore:Smilevski Goce
La lingua: ita
Format: mobi
Tags: Historical, Fiction
ISBN: 9788823506534
editore: Guanda
pubblicato: 1999-12-31T23:00:00+00:00


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Il fiume restituì il cadavere appena fuori città. Le persone che mi avevano visto correre lungo la riva, chiedere aiuto, cadere sulle ginocchia, sbattere le mani sui sassi della riva, perdere i sensi mi avevano portata in ospedale.

Ero sdraiata sul letto e mi guardavo le mani insanguinate. Una certa follia silenziosa mi salvava temporaneamente dal dolore. Parlavo con Rajner, in quei momenti per me era ancora vivo. Era il mio modo di sopravvivere. «Tu tornerai» gli dicevo, «è tutto passato, la tua ricerca eterna e l’eterna perdita di te stesso, la tua freddezza verso di me e il mio desiderio di riprenderti con freddezza, tutto quel dolore, tutto è passato, e anche quella tua domanda alla vita, ’Chi sono io?’, alla quale rispondeva la morte, ’Tu non sei niente!’ E il modo in cui guardavi negli occhi la morte e volevi abbandonarti a lei. Tu tornerai, Rajner» gli dicevo, «il fiume era solo un grande purificatore, mi ascolti, Rajner? È solo una nuotata, io ti aspetterò dall’altra parte del fiume, Rajner, ti aspetterò lì dove tutto diventa un’altra esistenza, so che sei qui, Rajner, prendi la mia mano, guarda la mia mano, Rajner, andrà tutto bene, credimi, quando finirai la tua nuotata, quando uscirai dal fiume, dovrai solo cambiarti, dovrai metterti un nuovo vestito, e tutto andrà bene, credimi, Rajner, credimi, come io credo in te, ecco la mia mano, Rajner, afferrala, e io ti prenderò, e poi andremo insieme verso una vita diversa.» Dicevo quelle parole a me stessa, con gli occhi chiusi, e tendevo la mano verso Rajner, ma la mano urtò il muro. Aprii gli occhi, intorno a me c’erano solo letti d’ospedale.

Tornai alla realtà e provai paura, le ragazze della mia età, quando rimanevano incinte e non erano sposate, si suicidavano per non causare vergogna alla famiglia; oppure venivano cacciate dalle famiglie, andavano via di casa e iniziavano a lavorare come prostitute; oppure abortivano in segreto.

Giacevo sul letto dell’ospedale, con le mani sul ventre, e guardavo il soffitto bianco sopra di me. Mi vennero in mente le parole del profeta Geremia: «Maledetto sia il giorno in cui sono nato! Che non sia benedetto il giorno in cui mia madre mi mise al mondo!» Giacevo sul letto dell’ospedale, con le mani sul ventre, e guardavo il soffitto bianco sopra di me. Poi chiusi gli occhi. Mi rigiravo nel letto e maledicevo, maledicevo il momento della mia nascita, maledicevo mia madre che non aveva stretto le gambe e schiacciato la piccola testa insanguinata che a malapena usciva da lei; maledicevo il grembo di mia madre che mi aveva tenuto per nove mesi e che non era diventato la mia tomba; maledicevo il seme di mio padre e il suo desiderio di avvicinarsi a mia madre la notte del concepimento, maledicevo anche il primo giorno delle prime persone e la loro prima passione. La disperazione si era trasformata in dolore fisico, mi rigiravo nel letto, e maledicevo, non c’era altra cura per il dolore. E il dolore continuava, come se la carne mi si staccasse dalle ossa, e le ossa mi facevano male per la disperazione.



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